martedì 30 ottobre 2012

La sostenibile leggerezza delle categorie

Come eravamo. Flash-back su episodi della mia vita sessuale passata. In ognuno, un uomo che ha meritato che io mi ricordassi di lui. Nel bene, il più delle volte. Nel male, altre.

I.

Aveva i capelli neri e lunghi fino alle spalle. Li portava sciolti. Occhi color nocciola, pizzetto. Vari piercing alle orecchie. Vestiva sempre di nero, in uno stile gotico addomesticato. Aveva allora ventun anni e, nonostante la statura, un po’ inferiore alla media maschile, e l’aspetto gracile e quasi emaciato del suo corpo, lo dominavano energia e irrequietezza. Quella sua forza mi piaceva, il suo vigore riusciva a contagiarmi perché si accompagnava sempre a massicce dosi di freschezza e di curiosità.
Si comportava con disinvolta spontaneità. Aveva la ragazza ed era eterosessuale. All’inizio pensavo che fosse la solita messa in scena per nascondere, innanzitutto a sé stesso, la sua vera essenza. Certo, dal punto di vista strettamente “scientifico”, i nostri erano rapporti omosessuali. A quei tempi, avrei detto che questo era sufficiente a definirlo omosessuale (velato) ma poi, malgrado i miei pregiudizi, dovetti ammettere che la sua era, probabilmente, “solo” una notevole apertura verso esperienze anche gay, ma senza conseguenze sui suoi gusti - diciamo così - “primari”, che restavano orientati verso il sesso femminile. Bisessualità incipiente? PolisessualitàPansessualità?
Rinunciai presto a cercare la risposta a queste domande, semplicemente perché cominciarono a sembrarmi superflue. Soprattutto, ciò che più conta, sembravano inutili a lui, che con tutta evidenza viveva quello che gli stava succedendo con sovrana naturalezza. Lo avevo rimorchiato su un sito dove si mescolavano gioiosamente varie “categorie” sessuali e nel quale lui cercava esperienze con coppie etero. Ciò che lo attrasse a me, credo, fu la mia sfacciataggine. Diciamo pure la mia troiaggine, ché tanto è quello che penso e che pensate anche voi. 
La prima volta che ci vedemmo, mentre si spogliava, mi avvertì: “Ah, non te l’ho detto, però... io non bacio. Spero non sia un problema”. Mi misi in ginocchio davanti a lui e premetti il viso contro i suoi slip bianchi, inspirando forte. “Non ti preoccupare. Faremo altro”, gli risposi sorridendo. Il contatto della mia testa contro il suo pacco lo fece gonfiare. Sfilandosi gli slip e lasciando libero davanti alla mia bocca il suo cazzo duro: “Non pensavo di eccitarmi così facilmente con te”, disse.
Gli incontri - cinque o sei, ora non ricordo - avvennero sempre a casa mia. Il suo uccello aveva una lunghezza nella media e non era grosso; aveva le palle piccole. Mi piaceva succhiarglielo, però godevo ancor di più quando me lo sbatteva dietro. Prima di venire poteva spingere dentro di me per tempi biblici cercando, senza riuscirci quasi mai, di controllare la sua irruenza. Quando mi faceva mettere completamente disteso a pancia in giù e con le gambe chiuse e il buco più stretto possibile, voleva dire che si avvicinava il suo orgasmo. Mi montava da dietro sostenendosi con le braccia tese puntate sul letto, la testa reclinata verso il basso, a osservare come entrava il cazzo dentro il mio culo, mentre le punte dei suoi capelli sfioravano la mia schiena.
La prima volta mi chiese, nella foga degli attimi prima dell’esplosione finale: “Posso venirti in bocca?”. Risposi di no. La seconda volta non chiese. “Dài, che ti sborro in bocca”, disse. Resistetti. Ma già la terza volta, ancor prima di vederci, mi disse che gli sarebbe piaciuto venire così e da allora glielo concessi. Voleva vedere il mio viso sporco del suo seme, e premere il cazzo in fondo alla mia gola, per lasciarci le ultime gocce di sborra.
Poi me ne andai da quella casa e ci perdemmo di vista. Un anno e mezzo fa mi scrisse per sapere se sarei tornato nella sua città, perché gli sarebbe piaciuto rivedermi. Non sembrava cambiato. Mi tornò in mente che proprio con lui avevo imparato a relativizzare, non solo in teoria ma anche in pratica, il peso delle categorie.
P.S. Sì, lo so, il film non c’entra nulla con il post. Embè?

domenica 28 ottobre 2012

Il manzo, finalmente

Incontenibile fame di cazzo. Voglia di maneggiare un bell’attrezzo. Di farmi sbattere. Di maschio. Per ottimizzare i tempi, lancio tre piattaforme contemporaneamente: invado il web. Il trucco è: esserci e vedere l’effetto che fa, senza smanettare. Almeno oggi. Infatti, dopo un po’, arriva un messaggio di Pe. Da quanto tempo mi ero ripromesso d’incontrare questo manzetto versatile dalla faccia simpatica, brucante alla bellezza di 4,7 chilometri da casa mia? Toh, giusto un mese, da quando, giorno più giorno meno, sono entrato nel tunnel dell’astinenza imposta dai miei impegni. Pesanti impegni.
L’uscita di emergenza si materializza dunque con un bell’“Hey, Milk, come va?”. 
“Sono stato occupato in questi ultimi giorni, adesso va bene”. 
“Sì, molto occupato...”. Allude. Me lo ricordavo spigliato, infatti.
“Dico sul serio. Adesso ho voglia di recuperare il tempo perduto. Quando ci vediamo io e te?”.

È più alto di me, però non troppo. Ha un bel sorriso. Ha la testa rapata e un po’ di barba. Ha gli occhi azzurri. È più corpulento di me. Non lascia emergere le emozioni che sente. Lo avvolge una sottilissima pellicola di razionalità che fa da precaria barriera tra il lato esteriore (i gesti, calmi e posati, il tono della voce, mai alterato da un turbamento, la conversazione, che scorre liscia e tranquilla) e quello interiore, che sembra ribollire: si arrabbia, si entusiasma, si dispera, piange ogni tanto, di gioia o di felicità, questo ragazzo che adesso continua a farmi domande, parlando del più e del meno, mentre con la mano mi spinge a distendermi sul letto, si corica al mio fianco, solleva la mia maglietta e poi morde delicatamente e lecca la mia pancia?
Razionalità sulla pelle e passionalità nelle viscere. Io rispondo all’interrogazione meglio che posso, ma il corpo già reagisce alle sue carezze e il cervello lo segue. Pe. è metodico. Tic tlac tic, mi sbottona i jeans e zac, me li sfila insieme agli slip fino al ginocchio. Solleva le mie gambe e affonda rapido la faccia tra le natiche. Lecca, morde, dà piccoli colpi di lingua al buco, lo sente schiudersi. Mugugno. La dedizione di questo trentenne per il mio culo è straordinaria. Gli piace lavorarselo con la bocca, e si vede. Il piacere che prova dev’essere almeno pari al mio. Mantenendo la stessa posizione, mi tolgo pantaloni, slip e calze, mentre lui continua imperterrito e punta i suoi occhi direttamente sul mio viso. 
A un certo punto mi fa girare e mi mette a pancia in giù. Sollevo un po’ il culo e lui ricomincia il lavoretto. Mi sento ancor più esposto alle sue voglie e inizio a sentire il mio respiro accelerare, proprio come il suo. Cerco di togliergli la maglietta, se la sfila lui e la getta sul letto, tornando immediatamente alla sua occupazione. Adesso scende con la lingua a leccare le palle, afferra il mio uccello semi-eretto tirandolo a sé, poi lo succhia. Passa dal cazzo alle palle al culo e poi di nuovo giù, andata e ritorno per tappe, più volte, finché il mio cazzo si fa talmente duro che il giochino non riesce più.
Allora mi giro, lui si mette in piedi al bordo del letto e adesso tocca a me sbottonargli i pantaloni e abbassarglieli. La vista del rigonfiamento dei suoi calzoncini neri aderenti mi  eccita e rende impazienti i miei gesti. Lietissima sorpresa: una lunghezza perfettamente nella media ma lo spessore... Lo afferro dunque con la mano, avido, e lancio a Pe. uno sguardo eloquente, di lussuria e di riconoscenza, per avermi portato a casa questo bene della natura.
È completamente depilato: il pube è liscio, le palle pure. Lo succhio e mugolo, mugolo e succhio, mentre impugno i suoi coglioni, belli grossi, e li tiro verso il basso. Quasi senza rendermene conto, sto sbavando tanto che le lenzuola si stanno bagnando della mia saliva. Dopo un po’, Pe. stacca il cazzo dalla mia bocca e si distende sul letto a pancia in su. Poi mi guarda sorridendo, invitandomi implicitamente a continuare. E io allora mi distendo fra le sue gambe, sostenendomi con i gomiti e ricomincio a pompare scendendo con le labbra quasi fino alla base del cazzone. Lecco anche le sue palle e le succhio delicatamente, prima una e poi l’altra, masturbandolo con una mano. Spinge la mia testa contro i suoi coglioni, allora cerco di far pressione, con la bocca e la lingua, tra le sue palle e il buco del culo.
È molto eccitato ed io sono ormai più che pronto. Mi alzo, prendo dal cassetto il lubrificante e lui mi lancia un cenno affermativo del volto, come a dire: “Perché no, se proprio vuoi, si può fare”. 
“Lascia stare”, mi dice quando mi vede prendere anche i preservativi, “ne ho portato uno io”, e si alza per frugare nelle tasche della sua giacca nera di pelle che ha appoggiato sul divano. Io mi sistemo quindi sul letto, disteso a pancia in giù ma con il culo sporgente, sicché quando torna, Pe. si inginocchia dietro di me e comincia tutte le operazioni preliminari: preme il tubetto di gel facendone cadere un filo dall’alto, sul mio buco; con due dita lo sparge attorno e un po’ dentro; indossa il preservativo e poi lubrifica l’uccello; infine si china su di me.
“È un mese che non scopo”, mi dice. Che coincidenza!
“Anch’io!”.
“Allora sborreremo entrambi subito... ma lo rifaremo un’altra volta più tardi”, mi lancia lui,  serio, come se stesse componendo il planning di una giornata lavorativa e non invece impugnando il cazzo, come effettivamente fa, per puntarlo contro il mio buco. “Ok, capo”, mi verrebbe da dirgli, ma il mio cuore batte forte e adesso c’è silenzio e concentrazione: voglio sentirlo dentro.
Ci prova una volta, una seconda, una terza. Poi si mette in piedi vicino al letto e mi tira per i fianchi. “Vieni qua!”, mi dice. Obbedisco e assumo la posizione a pecorina. “Bravo. All’inizio mi è sempre un po’ difficile entrare”. Non avevo dubbi. Ma già lo sento scivolare dentro piano, quasi tutto. Ed ora si muove lento, avanti e indietro, mentre lo incoraggio ansimando. Il ritmo inizia a farsi più sostenuto, Pe. picchia duro finché si ferma: “Vuoi cambiare posizione?”, mi chiede. “Ehm... No”, rispondo io, un po’ interdetto, “a me piace... Continua, dài!”. E mi apre per bene. Di tanto in tanto, allungo una mano dietro, per stringergli una natica e pregarlo di dare colpi più forti. Cosa che puntualmente fa. 
Sentendomi gemere, mi dice: “Pare che ti stia divertendo molto...!”. 
“Sì”, gli rispondo, “perché? Tu no?”. 
“Anche il solo fatto di sentire come ti piace, mi fa godere. In più hai un culo...”. E continua, fortunatamente, a fotterlo.
Ci sono momenti in cui la foga che mette nel chiavarmi raggiunge un tale livello che provoca in me un piacere insopportabile, alla soglia dell’orgasmo. Dopo un bel po’ di tempo, cambia ritmo e imprime dei colpi secchi e profondi. Grido senza ritegno. Mi sento trafitto dal suo palo duro e sono completamente abbandonato al suo dominio. Dopo aver affondato per l’ennesima volta l’uccello fino a far sbattere i coglioni contro il mio culo, sfila il cazzo e si distende sul letto. S’impugna il bastone, mi guarda sorridendo e: “Siediti qui”, ordina. E così faccio, dondolando il culo su e giù per far entrare e uscire il suo cazzo, mentre lui riposa un po’. Tuttavia, dopo pochi minuti, ricomincia a muovere il bacino e riprende il controllo della penetrazione, prendendomi il culo fra le mani e tenendo le mie natiche più separate possibile.
Rinvigorito, mi fa rimettere a pecorina e si sistema in ginocchio sul letto, dietro di me e mi fotte. Dopo un po’, alza il ginocchio sinistro e lo flette portandolo vicino al mio fianco, lasciando il destro appoggiato sul letto. Con una presa molto forte, mi afferra per le spalle e inizia a dare colpi di bacino durissimi. “Ti piace, eh?”, mi chiede. La mia risposta è affermativa, ma non so quanto comprensibile. Penso di essere ormai giunto al massimo del godimento, ma Pe. tira su anche l’altro ginocchio e m’incula nella posizione più animalesca che io conosca, sporgendosi in avanti, verso di me. Grido che mi piace e mi sembra quasi d’impazzire. Di colpo, sfila il cazzo e scatta in piedi, sul letto. “È troppo eccitante”, mi dice, “se continuo, sborro. Voglio bere un po’ d’acqua”.
“Sì, come no”, dico io, e faccio per alzarmi e andare in cucina.
“Non ti preoccupare, ce l’ho”. Si allontana un po’ e preleva una bottiglietta dalla giacca di Eta Beta. Previdente Pe. Mentre sorseggia la sua acqua, io mi rimetto sul letto a pecorina e osservo con sguardo lascivo il suo bel corpo e quel cazzo duro che nel frattempo non sta perdendo neanche un po’ del suo vigore. Contemporaneamente passo una mano sopra il buco, che giace abbandonato, aperto e bagnato, in mezzo al culo. Guardandomi e accennando con il capo proprio al buco, Pe. coglie l’occasione per fare una prima stima dei danni: “Certo che adesso ci potrebbe passare un treno!”, lancia.
“È che il tuo cazzo è davvero grosso”, gli rispondo.
“Oh, beh, credo che questo culo ne abbia presi di ben più grossi”. Scaltro Pe.
“Qualcuno...”, ammetto io. 
Ma è già dietro di me e ricomincia l’assalto, tenendo ben stretti i miei fianchi fra le sue mani e muovendosi rapido. “Mettiti come prima, dài, prendimi come un animale”, lo imploro io. “Lo vuoi così?”, mi chiede, mentre solleva un’altra volta le ginocchia mettendole parallele ai miei fianchi. “Sì, così!”, confermo io, mentre mi monta. Lo sento ansimare e capisco che entrambi siamo ormai al limite.
“Vuoi venire? A me manca pochissimo”, gli dico.
“Va bene. Mettiti vicino alla testiera, appoggiati così, bravo”. 
Mi vuole vedere a novanta gradi esatti, la schiena arcuata e il culo ben sporto verso di lui. M’incula con sempre maggiore forza e con la coda dell’occhio lo vedo concentrato a osservare il suo cazzo che entra ed esce dal mio culo, finché grida: “Vengo! Io vengo!” e il ritmo si fa rapidissimo, i suoi gemiti si confondono con i miei, i nostri muscoli si contraggono e lasciamo finalmente andare, con il liquido bianco, tutta la tensione.

“Lo prendi spesso in culo?”, gli chiedo.
“Non tanto quanto vorrei, sono più spesso attivo”.
“Bravo, che come passivo basto io...”.
“In ogni caso, non credo riuscirò mai a essere così passivo come te. O almeno, per farlo dovrei allenarmi molto prima. Davvero... non so come fai a resistere tanto”.
“Mi viene naturale. E mi alleno abbastanza, sì, ma solo con cazzi veri”.
Ridiamo. Apriamo una bottiglia alla salute nostra e sciogliamo nel vino rosso un piccolo distillato delle nostre vite.

venerdì 26 ottobre 2012

Si riparte

“Spero proprio che si spenga”. È l’ultimo pensiero di forma compiuta che ho avuto questa notte prima di addormentarmi, dopo aver constatato che la batteria del cellulare era ormai agli sgoccioli e aver immediatamente scartato l’idea - banale e, ieri, irrealizzabile - di alzarmi e prendere il cavo per ricaricarlo. E così il cellulare si è spento. E io stamattina sono fresco, quasi come una rosa.
Immersione ed emersione. Mi trovo adesso, finalmente, nella seconda fase. Mentre te ne stai a galla e magari cerchi di nuotare fino alla boa successiva, c’è sempre qualcuno o qualcosa che spinge verso il basso e ti fa fare glu-glu-glu. Adesso che, tornato in superficie, boccheggio guardandomi intorno, vedo un’isolotto dove potrei approdare, a meno che i venti e le maree avversi non mi facciano prendere un’altra direzione. Sull’isolotto potrei passare due annetti mica male, con qualche incerta soddisfazione, molte fatiche e pochi dindini. Ferie, avete detto? Credo le abbiano abolite già da un pezzo. Null’altro all’orizzonte, per ora. Ah, sì: C. continua a volermi bene ma già non si scopa più; Paj mi manda whatsapp interlocutori ma io non sono così sicuro di volerlo rivedere; J. se n’è andato per sei mesi lontano, molto lontano, troppo lontano. E ho cambiato location.
Un punto fermo: l’astinenza sessuale cui mi sono obbligato in questi giorni termina qui. Meno male.