lunedì 6 febbraio 2012

Uno di quelle parti

La parentesi Liala è durata fin troppo, e dal fronte R. nessuna novità, a parte una mia maggiore consapevolezza e serenità (ma non disperate, o voi che a frotte vi affannate per saperne di più: sarete aggiornati). Sicché riprendiamo i quadretti estivi, memorie tanto più necessarie quanto più il freddo ci attanaglia. Siamo al terzo. Gli altri qui.

III.
Anche questa volta sono completamente nudo e passeggio tra le dune e gli arbusti retrostanti la spiaggia cercando un po’ di compagnia e di piacere, mostrando direttamente a chi voglia vederli il mio cazzo e il mio culo: è la tecnica wysiwyg (what you see is what you get, cioè quel che vedi è tutto ciò che potrai avere), il che evita successive delusioni.
Mi sta guardando, fermo a qualche metro da me. Avrà trent’anni al massimo, carino però fin troppo vestito per i miei gusti. In pieno agosto e in una spiaggia nudista (benché tra le “quinte”), il soggetto in questione veste: una maglietta a maniche corte, pantaloni corti azzurri, ciabatte e cappellino. Porta anche un paio di occhiali scuri ed è forse l’elemento che lo veste di più e che mi rende in un certo senso più vulnerabile: lui mi osserva ma io non posso vedere i suoi occhi.
Mi sorprende un po’ perché, invece di fare come gli altri, cioè dirigersi direttamente e in silenzio nell’anfratto scelto per stare assieme, mi rivolge la parola:
“Ciao. Ti va di scopare?”. Evidentemente non sopporta i fronzoli, ma non è nemmeno affetto da mutismo.
“Sì”, gli rispondo, “andiamo qui”, e gli indico un piccolo spiazzo tra i cespugli. Mi avvicino al luogo in questione, lui mi segue ma si ferma di colpo.
“È che qui non saremmo soli”, mi dice, accennando col capo a una coppia di ragazzi che sta facendo la ronda da un bel po’ e ad altri due uomini più lontani che ci osservano.
“E allora?”, dico io.
“Non so, ci sono anche bambini...”. In effetti, sebbene questi non si vedano da nessuna parte, si possono distinguere le voci di un gruppetto di ragazzini che giocano fra le dune. Il ragazzo allora si guarda intorno, cercando con lo sguardo un posto più tranquillo per noi.
“Vieni”, mi dice a un tratto e io lo seguo.
Si incammina verso la parte alta delle dune e questo m’inquieta un po’. Mi chiedo dove mi porterà, così lontano e comincio a innervosirmi perché mentre io dietro trotterello nudo, lui è completamente vestito: lo squilibrio mi disturba. Alla fine arriviamo a un posto che già conosco, per esserci stato l’anno precedente con un altro ragazzo. Si trova in mezzo agli alberi, però sulla costa di una duna piuttosto alta. Arrivare fin lì per pura casualità non dev’essere comune.
Una volta sistemati dentro quel minuscolo spiazzo, ci ritroviamo in piedi, uno di fronte all’altro. Comincia a toccarmi il cazzo, che diventa subito duro, ma io voglio vedere il suo, quindi gli abbasso i pantaloni e gli slip e libero l'uccello, già eretto. Come misure siamo perfettamente nella media, ed è un bel cazzo, anche se un po’ torto. Senza che io dica niente, prende l’iniziativa: si inginocchia, afferra il mio cazzo con una mano e se lo ficca in bocca. Succhia davvero bene e la sensazione che mi regala è molto gradevole.
Continua così per qualche minuto, dopodiché si alza e mi fa:
“Me lo succhieresti un po’?”. È uno dei pochi che me lo chiede direttamente e trovo la domanda, a suo modo, dolce.
“Certo”, gli rispondo. E m’inginocchio a mia volta. Prendo il suo cazzo con la mano, tiro la pelle per scappellarlo bene, me lo metto in bocca e comincio il servizio.
Sembra che gli piaccia perché si lascia scappare piccoli gemiti che mi inducono a spompinare con ancora maggior impegno, accarezzando i suoi coglioni lisci e morbidi con la mano rimasta libera. Poi comincia ad alternare delle leccate decise alle sue palle, con una serie di “gole profonde”, perché voglio sentire la sua cappella premere contro il fondo della mia bocca.
Ci sono parole che mi eccitano più di mille gesti, come ad esempio queste:
“Sì, così... Come succhi bene, sei un bravo ciucciacazzi”. Dice proprio così: ciucciacazzi. Allora mi prende la testa tra le mani e comincia a scoparmi la bocca. Sono così su di giri che la saliva mi cade dalla bocca quasi a fiotti.
“Ti piace?”, mi chiede.
“Mmmh-mh”, è l’unico suono che riesco ad articolare.
Dopo un po’ faccio uscire il suo cazzo dalla bocca e gli chiedo:
“Come ti piace venire?”.
Sorride, si guarda intorno come per assicurarsi che nessuno ci stia sentendo, e mi risponde:
“Sborrando sulla faccia”.
“E ti manca molto?”.
“No, non mi manca molto. Apri di nuovo la bocca e succhialo”.
Così, mi fotte ancora un po’ la bocca, sempre più forte, finché lo sento che ansima e dice:
“Io vengo!”. 
Allora estrae il cazzo, io giro la testa di lato in modo da offrirgli la guancia, e tengo la bocca ben chiusa. Dopo pochissimi secondi, dalla cappella comincia a scendere il suo liquido caldo che bagna prima la mia guancia, poi il petto e il braccio.
Dai suoi pantaloncini uscirà tutto l’occorrente per asciugarmi bene e tornare in spiaggia come se niente fosse. Di lui saprò solo che era uno “di quelle parti”.

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